Meglio diffondere i connotati di questo baccalà perchè le cose importanti, semplici e buone sono da condividere con chiunque non abbia la barca ormeggiata a Cortina.
Accanto ci starebbe bene una Vernaccia, vino non più ridotto al rango di liquido a calo e a brocca da bersi nell’annata, ma diventato un bianco longevo che dà il meglio di se nello scorrere del tempo e, senza tanti antanismi, se garbano ci vanno bene anche la gassosa o la china calda, è solo questione di gusti, come scegliere fra guardare Maria De Filippi, Giletti o un film di Hitchcok.
La ricetta è nel primo commento e, cotto nel tegame di coccio, il baccalà diventa più sentimentale di un ode di Neruda.
Per 4 persone
ingredienti: 800 gr. circa di baccala’
4 cucchiai d’olio d’oliva (di quello di’ Paglia)
1 cipolla bianca BIO
1 spicchio d’aglio BIO
1 scorza di limone BIO
500 gr. pomodori ciliegino BIO
a occhio un po’ di polpa di pomodoro BIO
1 cucchaio di prezzemolo tritato
2 cucchiaiate di capperi, sale e pepe
In un tegame di terracotta far imbiondire a fuoco lento la cipolla e l’aglio tritati.
Aggiungere i pomodorini spezzettati, la scorza di limone, sale e pepe, e far cuocere lentamente la salsa, aggiungendo se serve un po’ di polpa di pomodoro.
Tagliare il baccala’ a pezzetti, dopo averlo asciugato bene, e avergli tolto la pelle, infarinatelo, e friggetelo in abbondante olio (io ho usato quello di’ Paglia)ben caldo. Sgocciolatelo e mettetelo su una carta assorbente.
A questo punto si mettono il prezzemolo i capperi e i pezzi di baccala’, insieme alla salsa di pomodoro, e si fanno cuocere non piu’ di 10 minuti.
Hitchcock.
Quasi un baccala’ alla livornese…
Una volta alla settimana mancio il baccalà al forno, con ceci e scalogno (lo mangio allo Scalo, da Pino e Daniela): la mia riscoperta del baccalà è avvenuta in Toscana, innanzi tutto a Firenze…
Stupendo mangiare così leggero e così gustoso.
Ma dissentirei sulla condivisione delle cose buone, distinguendo nell’ambito di coloro che detengono barche e panfili ormeggiati qua e là tra quelli che sono bene educati, trattano con gentilezza il loro prossimo e pagano le tasse, e quegli altri che sono cafonal, corti di braccio, maleducati ed evadono alla grande.
Sono tra quelli che non hanno nulla contro la ricchezza in sé, purché nonsia a scapito degli altri!
Si SIlvana, praticamente te spieghi le cose che io in fretta scrivo.
Niente baccalà della Simona per quei cialtroni vanno al ristorante sul litorale con l’elicottero e posteggiano nella spiaggia e neanche per le scarpe a punta, che ormai sono una categoria sociale parecchio ampia.
Ma quelli con le scarpe a punta, o quelli che viaggiano con l’elicottero siete sicuri che mangino??? Secondo me sono come le principesse o le regine di una mia collega da piccola, che si domanadava “se le regine facevano la cacca”, gli sembrava impossibile!!!! loro cosi’ diverse da noi povere mortali!
Grazie per aver esaudito la mia richiesta
Lo èproveò quanto prima
Anna Maria
Guardarsi da facili equazioni. Da associazioni pseudoscontate. E’ sempre piu’ complicata e piu’ difficile di come la si dipinge: magari bastasse guardare la curva della tomaia delle scarpe, l’angolo della punta, il mezzo di locomozione usato, il vestito indossato, il taglio di capelli adottato per potersi scegliere le frequentazioni giuste. Questo, per limitarsi all’ipotesi piu’ benevola. Guardando cioe’ all’aspetto meno negativo di queste libere associazioni che sento fare. Ce n’e’ poi uno decisamente peggiore, cioe’ il germe di faziosita’ e di settarismo che questa tendenza puo’ nascondere. E’ cosi’ che negli anni settanta in certe citta’ in certi quartieri era sufficiente guardare se portavi le clark o le college per decidere se meritavi una sprangata in testa; o se i rayban a specchio piuttosto che quelli scuri tipo lozza. Oppure altrove e in altri momenti, guardare al naso piu’ o meno adunco, o all’accento, o ad altre cazzate, per decidere se arruolare o meno in un ghetto piuttosto che in un altro.
Ma e’ il bisogno stesso di rinchiudere in gruppi chiusi, di guardarsi da un ipotetico “diverso” o “nemico”, che e’ malsano. Le scuse, i segni campati piu’ o meno per aria, poi, vengono di conseguenza, una volta che si cede a questo bisogno tossico.
also sprach…
Scarpe a punta sono quelli che nel vino poco ci fanno ma ci gravitano e ingrassano.
Le scarpe a punta sono un modo di essere, una convinzione, uno come Scajola si trova con la casa pagata senza neanche sapere da chi.
Niente di razzismo, solo sberleffo per le nostre qualità italiche.
Non sono le scarpe a punta, Andrea. E’ il “quelli che”.
Sono sempre gli altri, e’ sempre l’altro. Il bisogno di identificare/riconoscere “quelli che”. Sara’ sberleffo. Io ci ho i miei sani dubbi. O forse sara’ il mio a essere individualismo qualunquistico.
Hai presente il brindisi “alla salute di chi ci vuole bene, in culo a chi ci vuole male”? Ecco. Provo un (forse insano) bisogno di fare uno dieci cento mille brindisi “alla salute” punto. Mia o di chi gli/le pare.
Lo sberleffo nei confronti di chi prima ha massacrato vigliaccamente e gratuitamente per il piacere di farlo mi pare il minimo, volerci perdere tempo per farci un brindisi con un calice di vino bono non ci penso proprio…. proprio pensando alla salute.
Non mi sono spiegato, evidentemente. Ma non fa niente.