Imbarazzante alzarsi una mattina e vedere il proprio ambiente fatto di boschi, vigne, uliveti e fiumi intorno morbide colline e antichi castelli divelto da ruspe e scavatori per fare spazio a un’opera inutile, dispendiosa, sproporzionata alle esigenze e del momento storico viviamo.
Imbarazzante vedersi calare dall’alto progetti faraonici incomprensibili che andranno di fatto a modificare l’assetto bellezza di un luogo con i conseguenti strascichi giudiziari da pappeggiamento per una selva di anni.
Siamo il paese dei ponti sospesi per aria, del terremoto dell’Aquila, del binario unico, del ponte sullo Stretto che non si farà ma viene finanziato da anni, dei grandi eventi e di città alluvionate per pioggia e cemento, dove nelle sciagure esce il nostro gran cuore dalle cassette di sicurezza o dai conti correnti, e si è felici per non vedere le Olimpiadi a Roma nel 2020, molto meno nel vedere corsi dei fiumi restringersi e imputridire.
No Tav sicuramente, ma ricordiamo chi appoggia questo lanciando schede con una grande X li copre tutti nelle urne.
Mentre chi lancia sassi a Polizia, Carabinieri e scrive No Tav nei muri è solo un gran bischero.
…condivido le tue parole,…visto lo scempio di questi ultimi decenni,speriamo di cambiar “rotta”,…Lo splendido leccio che hai fotografato e’ a Vertine? un saluto Elisabetta
La Tav che ci propone Passera (“se non si chiama Aquila ci sarà pure una ragione”, suggeriva il mio collega Arnaldo Aisa, quando C.P. era il nostro capo!) costa (al chilometro) venti volte ciò che costa lo stesso tipo di percorso ai francesi.
Un popolo di santi, di poeti, di navigatori, di finanzieri d’assalto.
…un popolo anche di “polli”,…già spennati,che si son lasciati spennare forse x troppa ingenuità e fiducia in chi governa.Come mai costa 20 volte di più da noi,che in Francia?un saluto Elisabetta
…sarebbe interessante chiederlo a chi la vuole e difende il progetto sbandierando contro ”l’illegalità” delle rivolte!
Un motivo per il quale le opere costano in Italia più che altrove?
Baronie da un lato e corruzione dall’altro.
Qui per fare una vigna serve la certificazione antisismica come per fare un edificio, contentino per architetti e geologi e tassa obbligata per chi deve piantare le viti.
….ce ne saranno altri di motivi?
ma 20 volte tanto è uno sproposito!…come possono giustificare tale spesa?…Della certificazione antisismica della vigna,son basita!E’ un’eresia pura…
Venti volte è proprio un’enormità, ma l’ha detto un ascoltatore intervenendo su radiotre e il giornalista (Sole24ore, non un comunista sovversivo) non l’ha smentito, aggiungendo che si dice che dipenda dalla nostra ‘orografia’ più problematica di quella del territorio francese.
Io penso che dipenda dalla slogatura delle mandibole del combinato disposto onorevoli (disonorati)+ mafia (d’accordo con gli onorevoli) + sistema finanziario (d’accordo con entrambi).
Pensa Elisabetta se in seguito a terremoto un palo della vigna crollasse su un formicaio sottostante mandandolo in pezzi (e se le formiche ti facessero causa).
E sappi comunque che per fare una vigna ci vuole la licenza edilizia, e non è una battuta!
Cara Silvana ( permetti,vero ?),son basita da quello che mi dici…io non m’intendo di politica e faccende agricole,se non in relazione alla mia microscopica esperienza del mio orticello sotto casa…Da poco conosco Andrea,e Filippo Cintolesi,e di riflesso,ascolto i loro discorsi sulla campagna…Ma ho un gran rispetto x la natura,e tanto altro.Forse 30 anni fa si viveva troppo alla ‘bona,nel senso che i nostri contadini lasciavano i loro campi senza recinzione,e tutto era governato da una praticità e un buon senso che oggi non c’è più E le regole sismiche sulla vigna ,come la licenza edilizia sono l’espressione schizoide di un sistema che ha perso tutto,anche il senso di sè stesso…e il contatto con chi ,di terra,prova a viverci…Nutro cmque,una flebile speranza in un cambiamento positivo.Grazie di tutto Elisabetta
La certificazione antisismica per la vigna e’ una battuta. Ma la licenza edilizia non e’ una battuta. E licenza edilizia vuol dire vincoli. E vincoli vogliono dire relazioni di incidenza, pratiche, quadrini. Ingiusto? A me forse potra’ anche essere sembrato ingiusto quando mi e’ toccato passarci solo per chiedere di ripiantare quel che gia’ c’era. Dove gia’ era. Ma non e’ ingiusto, in realta’, se si pensa a che razza di scempio e’ una vigna da un punto di vista puramente ambientale. Pensiamo solamente alla superficie intercettante le acque piovane (che finiscono convogliate dove?). Quanta acqua piove su una vigna? Semplice il conto: 10 mila litri per ettaro per ogni millimetro di precipitazione. E una pioggerella da 20 o 30 millimetri e’ ordinaria amministrazione, perche’ durante un acquazzone possono cadere in un solo quarto d’ora. In tal caso 100 o 200 nelle 24 ore sono da aspettarseli. Diecimila quintali d’acqua (mille metri cubi) da smaltire nelle 24 ore per ettaro di vi
gna non sono uno scherzo. Due anni fa, dalle parti di Pietracupa, una sera ho visto un bosco vomitare un fiume di fango in piena su una strada, su un fronte di un centinaio di metri. Un bosco! a monte della strada! Da dove provenisse quel marasma di fango era per me, impietrito, un mistero. So solo che da qualche parte a monte di quel bosco pochi mesi prima erano stati realizzati dei bei vignetoni con scassi ciclopici, sara’ solo un caso.
Quando si facevano le cose alla bona si facevano impianti di qualche filare, lo scasso lo facevano a piccone, avevano cura di realizzare la gattaiola dentro il muretto a secco che reggeva il tramito… e il buon Nerino Trabalzini negli anni cinquanta sconsigliava di realizzare vigne superiori ai due o tremila metri per famiglia colonica, essendo poi difficili da seguire e da curare.
Dobbiamo riconoscere che il sistema avra’ forse anche smarrito il senso di se stesso, ma evidentemente vivere di terra deve aver cominciato da un po’ a significare qualcos’altro.
ecco una cosa giusta sarebbe!limitare la piantagione ..non più di 3000 metri(o poco più) x ..”podere”..allora sì che avrebbe senso coltivare come si deve la vigna nel chianti…”se poi è qullo”storico”..(per farlo rimanere nella storia)..vero? (andate a dirlo agli ”industriali” ..quelli che pagono all’ingrosso 80-120 euro ad hl)
Quello storico? Perche’, ne esistono altri?
…Certo!…quello agricolo!…suvvia,Cintolesi….
…uno ..nessuno ..e centomila.. 🙂
Datevi una calmata e farneticate meno. Di Chianti ne e’ sempre esistito e ne esiste uno soltanto. Il territorio del Chianti.
Trovate altri sistemi per sbolognare i prodotti perche’ tanto ormai e’ dimostrato che nemmeno il nome “chianti” puo’ piu’ gran che.
…infatti ..uno (quello che dici tu),nessuno (oramai non ce lo meritiamo più di tanto)..centomila (sono quelli che se lo sono..fot….uto)
uno e basta.
O per combattere la crisi di idee e di vendite ci si chiamasse direttamente Etruscany?
etruscany…quali ..? quelli della toscana centrale …o…(e così via!) 🙂
Battute a parte, sono vere due cose, a mio parere: la prima e’ che il marchio Toscana ha un impatto sufficiente per essere recepibile, digeribile, apprezzabile eccetera a livello mondiale. Non e’ troppo sottile, non corrisponde a qualcosa di troppo piccolo, non e’ troppo poco. La seconda e’ che al di sotto del marchio Toscana, andando cioe’ piu’ nel sottile, nel particolare, nel dettaglio, si scende a qualcosa che a stento e’ ben percepito nel nostro stesso paese. Al di fuori d’Italia le diverse realta’ locali del continente Toscana sono percepite solo marginalmente e solo da elites socioculturali. Al momento della salita sul leggendario scaffale della distribuzione, queste realta’ locali (Chianti, Maremma, Crete..) non sono assolutamente in grado di comunicare in modo sicuro e senza ambiguita’ qualcosa di specifico. Uno scaffale della distribuzione (sia essa grande o piccola, non importa; questo punto della differenza fra le due distribuzioni, molto da ridimensionare, sarebb
e pane per un’altra discussione) in un paese europeo (quanto dico vale a maggior ragione per paesi extraeuropei), prendiamo l’UK che e’ una realta’ che un po’ conosco, questo scaffale non potrebbe assolutamente portare in modo significativo un’etichetta geografica piu’ ristretta di “Tuscany”. Sto parlando di scaffali. Il singolo prodotto (la singola etichetta) a seconda del prodotto, della classe di prodotti in cui si inserisce, puo’ avere maggiori possibilita’ di farsi inquadrare. Ma a livello di scaffale sarebbe folle pensarlo. Mentre (ribadisco la prima cosa che dicevo) non e’ affatto folle o illusorio pensare che lo scaffale “Tuscany” non possa essere “maturo”. Al pari di “Italy”, questo voglio sottolineare. E non sono moltissimi i territori regionali italiani che possono dire lo stesso. Forse “Sicily”.
Alla luce di queste considerazioni, quindi, bisogna convenire che da un punto di vista del branding sono state abbastanza controproducenti tutte le iniziative che hanno sacrificato il contenitore “Toscana” pur di riaffermare il sottoinsieme locale. Mi riferisco in particolare alla questione delle DOP oleicole che hanno determinato l’inquadramento del marchio Toscana come semplice IGP (unico IGP in tutto il panorama degli oli italiani), laddove una politica di marchio basata sul forte respiro del contenitore regionale (perfettamente percepibile a livello mondiale) pur consentendo un certo gioco di sottodenominazioni di zona, sarebbe stata forse piu’ furba.
concordo pienamente…nell’IGP toscano si può,”migliorando la tutela” e dando un po’ più di risalto alle sottodenominazioni..”spazzare via ” altri”enti inutili microscopici”costosi e cementati..nell’ottica del commercio a livello mondiale
Il tutto nell’ottica del semplificare, chiarificare, rendere più snello il meccanismo burocratico, meno inutile, meno costoso, garantendo per davvero a chi compra la lealtà dell’olio contenuto e dichiarato.
Tutto da dimostrare che l’IGP Toscano nei fatti funzioni meglio del DOP Chianti Classico o Terre di Siena o whatever. Ogni popolo ha il governo che si merita.
…intanto ,poichè l’unione fa la forza, hanno più denaro per la pubblicità..per ”il resto” i dubbi aumentano proporzionalmente
Non solo: sempre perche’ l’unione fa la forza, disponendo di personale, le spese per la certificazione (principalmente determinate dalle spese per la campionatura) sono una frazione di quelle corrispondenti delle due DOP citate.
…e poi non dovranno andare a bari..:-) lo sai vero?
Caro Cintolesi, è vero: regole ci vogliono; poi ci vorrebbe anche il buon senso (quello che si ritrova nella Costituzione). Tuttavia ho la sensazione che quando la politica (con la ‘p’ minuscola) individua un’attività che comincia a produrre un po’ di soldi, inventa delle tortuosità atte a ficcare le mani nelle saccocce e carpire soldi – spesso in favore dei suoi mantenuti -.
A proposito di “Tuscany” o anche di “made in Italy”: penso che il made in Europe che si sta reinventando Sarkozy (immagino per fare un favore alla Merkel)obbligherà tutti noi, in nome dell’Europeismo ad usare solo quello, rinunciando all’italianità dei nostri prodotti (quindi al made in Italy), con gli applausi di un qualche governo tecnico. Scmmettiamo?
..propongo.. il made in world…almeno è ..tutta roba di questo mondo!